Concerti

Mozart, capolavori dei mesi ruggenti

Al Filarmonico di Verona per il Settembre dell'Accademia il pianista Leif Ove Andsnes e la Mahler Chamber Orchestra hanno proposto due Concerti e una Sinfonia scritti dal salisburghese nell'arco di un anno o poco più, fra il 1785 e il 1786: capolavori affascinanti (si trattava di K. 482, K. 491 e K. 504) di una stagione creativa straordinaria. Esecuzione - sia da parte del solista che dell'orchestra - di sorvegliata brillantezza e di notevole efficacia stilistica

Si fa presto a dire “tutto Mozart”. Nello scegliere un programma di concerto dentro ai 626 numeri (et ultra, calcolando le Appendici) del catalogo Köchel si possono compiere itinerari musicali di ogni tipo, tra forme e generi diversi, con organici strumentali vari e anche insoliti, o magari facendo riferimento soprattutto alla notorietà delle composizioni. Calendario alla mano, un trentennio pieno di musica separa il 1761 del Minuetto e Trio per pianoforte K. 1 dal 1791 dell’incompiuto Requiem, ma non è detto che il percorso attraverso gli anni debba essere per forza a largo raggio. Un criterio cronologico ristretto, ad esempio, hanno adottato di recente il pianista Leif Ove Andsnes e la Mahler Chamber Orchestra nel realizzare due registrazioni discografiche (entrambe in doppio Cd) uscite per la Sony rispettivamente nel maggio 2021 e nell’aprile di quest’anno, intitolate la prima MM 1785 e la seconda MM 1786, dove l’acronimo sta per “Mozart Momentum”. L’indicazione cronologica riguarda i mesi cruciali durante i quali la scrittura pianistica del salisburghese – ormai da alcuni anni stabilitosi a Vienna – raggiunge lo splendore caratteristico dei grandi capolavori sia nell’ambito concertante, con una fiorita prodigiosa di composizioni, che in quello cameristico (specialmente con i due Quartetti con pianoforte e archi).

Dentro a questo interessante progetto, la scelta di programma per il concerto portato da Andsnes e dalla Mahler in una tournée italiana che ha fatto tappa anche al Filarmonico di Verona, per il Settembre dell’Accademia, è caduta su due Concerti per pianoforte straordinari ma diversamente presenti nel repertorio. In apertura è stato proposto il meno frequente K. 482 in Mi bemolle maggiore, composto a fine 1785 ed eseguito per la prima volta il 23 dicembre di quell’anno; in chiusura il ben noto K. 491 in Do minore, che fu completato tre mesi più tardi ed eseguito, naturalmente sempre con Mozart alla tastiera e sempre al Burgtheater di Vienna, il 3 aprile 1786. Si tratta di partiture che prevedono entrambe un organico orchestrale particolarmente importante e ricco, con la rara presenza dei clarinetti, oltre all’apparato completo tipico dei Concerti cosiddetti “marziali” (o semplicemente cerimoniali, fastosi), con trombe e timpani oltre agli altri fiati. Questo spiega la portata “sinfonica” delle introduzioni e degli accompagnamenti e postula lo spessore della parte solistica, chiamata a confrontarsi e a dialogare con un’orchestra così ben strutturata.

Il Concerto K. 491 è uno dei soli due in modo minore nell’intero catalogo dei Concerti per pianoforte mozartiani, e questo spiega la sua popolarità nata fin dall’epoca romantica: il suo clima espressivo è drammatico, teso, introverso. Molto più “trasparente” e disteso – da questo punto di vista – è il Concerto K. 482 (fra l’altro, il più ampio dell’intero corpus), che presenta però una ricchezza di particolari tale da risultare per molti aspetti – e allo stesso tempo – una sorte di “riassunto” delle soluzioni stilistiche adottate da Mozart fino a quel momento e un’anticipazione di quelle che vorranno. E un punto di contatto molto evidente con il successivo K. 491 – tale è risultato anche all’ascolto al Filarmonico – consiste nella tonalità di Do minore, che Mozart adotta nello straordinario movimento lento di K. 482, un Andante con Variazioni. Una presenza, quella delle Variazioni, che ritorna nell’affascinante Allegretto conclusivo di K. 491.

Per Leif Ove Andsnes la serata al Filarmonico era un ritorno dopo lunghissimo tempo. Il pianista norvegese vi aveva infatti già suonato, sempre per il Settembre dell’Accademia, oltre trent’anni fa, nel 1990, quand’era appena ventenne. Allora era insieme alla Filarmonica di Bergen e aveva proposto il popolare Concerto di Grieg. Trent’anni dopo, la reputazione di questo interprete è saldissima e particolarmente significativa proprio nell’ambito del repertorio viennese fra Settecento e inizio Ottocento. Lo ha chiarito bene la serata mozartiana: senza scegliere di adottare uno strumento d’epoca, Andsnes dimostra tuttavia la sua consapevolezza storico-esecutiva con un lavoro straordinariamente rifinito sul tocco e sul suono. Che risultano brillanti quando serve, sempre lucidi, inseriti in un fraseggio sorvegliato e lontano dalla meccanicità esteriore di troppi approcci al pianismo mozartiano. La cura dei dettagli, la gamma dinamica sfumata a dovere (assecondando l’entusiasmo del salisburghese per le tastiere di “nuova tecnologia” della sua epoca) e il sofisticato equilibrio nel rapporto con l’orchestra hanno completato il quadro di un’esecuzione insieme coinvolgente e rigorosa. All’interno della quale, i dettagli rivelatori si sono inseguiti per dare il senso di quanto il Concerto per pianoforte fosse prediletto da Mozart, versione strumentale di quel vero e proprio mondo musicale che era l’opera. E basterà citare la poetica articolazione degli accompagnamento orchestrali nell’Andante di K. 482, a volte ridotti a dimensione cameristica (singole parti negli archi o nei fiati), altrove giocati in un corposo confronto strumentale a tutto tondo.

Fra i due Concerti, il programma della serata ha proposto un’altra pagina decisiva di quei mesi, sia pure in ambito diverso, la Sinfonia K. 504 detta “Praga”, scritta circa un anno dopo K. 482. Si tratta di una sorta di “arco d’ingresso” nel mondo dell’ultimo sinfonismo mozartiano, costituito dalle tre ultime composizioni di questo genere – K. 543, K. 550 e K. 551 – scritte apparentemente senza obiettivi esecutivi nell’estate del 1788. La “Praga” rinuncia al Minuetto, e questo può sembrare una scelta stilistica specificamente “moderna”. Forse non è davvero così, ma certo la novità e la forza di questa composizione sono innegabili. La Mahler Chamber Orchestra l’ha suonata con tutti i suoi elementi in piedi (tranne evidentemente i violoncelli), richiamando quindi una prassi esecutiva “antica” in realtà contraddetta dalla ricchezza del suono, dal suo equilibrio, dalla vivacità dei tempi. Interpretazione brillante senza mai rischiare la superficialità, ben condotta dal violino di spalla Matthew Truscott in qualità di konzertmeister, insieme analitica e di sintetica qualità espressiva.

Tutti i protagonisti della serata sono stati salutati con viva cordialità dal pubblico che affollava il Filarmonico. Alla fine, per bis, ancora un esempio musicale di quegli incredibili mesi mozartiani: il popolarissimo Andante del Concerto per pianoforte e orchestra K. 467, 10 marzo 1785.

 

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