L’edizione numero 34 delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza ha un titolo mahleriano, “I canti della terra”, che offre prospettive molteplici, non necessariamente solo musicali. E in ogni caso, non direttamente collegate al compositore boemo. Il quale nel programma del festival cameristico diretto dalla violinista Sonig Tchakerian non compare come autore, ma in certo modo “detta la linea” di una programmazione rivolta alla scoperta di altri mondi rispetto a quelli familiari (e variamente percorsi anche quest’anno) della grande tradizione classica, si tratti di avventurarsi fra le nevi altopianesi descritte da Mario Rigoni Stern in un famoso racconto – grazie alla poetica e sensibile partitura di Giovanni Bonato – ovvero di capire che l’Est della musica ha una geografia che va oltre il risaputo.
Dopodiché, questa rassegna non per caso molto attenta alla realtà giovanile può fregiarsi anche di un progetto autenticamente naturalistico, niente affatto scontato e certamente poco abituale. All’insegna del motto “Andante sostenibile”, le Settimane dal 2023 sono impegnate nella realizzazione di un frutteto urbano negli spazi comunali di via Bellini, quartiere periferico di San Lazzaro a Vicenza. Qui – con la supervisione entusiasta del giardiniere Roberto Longo – stanno crescendo melograni e viti, meli, susini, albicocchi e peschi. Quest’anno sono stati messi a dimora anche un pero e un nocciolo. Musica della natura, musica per la natura.
Nello spazio teatrale palladiano – centro di gravità permanente per un’iniziativa che lungamente qui ha coltivato proficuamente, con la supervisione di Giovanni Battista Rigon, anche una dimensione operistica – la rassegna offre un trittico di appuntamenti dai programmi niente affatto banali. Si è cominciato domenica sera con il debutto vicentino di una “firma” storica della musica d’insieme, i Solisti Aquilani, giunti con un programma sicuramente originale, che aveva al centro il Concerto per violino e archi del compositore armeno Tigran Mansurian. Si tratta di una composizione corposa e drammatica risalente al 1981 (ne esistono un paio di registrazioni discografiche), nella quale una forte tensione espressiva si articola in maniera spesso fascinosa con la lucida efficacia con cui Mansurian esplora il mondo timbrico non solo dello strumento solista ma anche degli archi di accompagnamento, che assumono quindi una dimensione a loro volta protagonistica, specialmente (ma non solo) nelle tessiture basse. Il discorso è coerente e profondo, condotto con un linguaggio che non ha bisogno di soverchie anomalie armoniche per svilupparsi in maniera notevolmente comunicativa, ma che afferma comunque una piena libertà rispetto alla tradizione classico-romantica. La stessa libertà si coglie nella definizione formale: il brano è in un solo movimento ma il discorso risulta articolato anche oltre l’emergere dei nuclei tematici, peraltro nitidamente delineati e inclini a una sofisticata scrittura contrappuntistica. Il cuore della composizione è in quella che alla maniera antica si potrebbe definire la cadenza dello strumento solista: una vasta pagina in cui il violino senza accompagnamento esprime un virtuosismo nel quale la tecnica è funzione dell’efficacia del discorso, il colore elemento decisivo dello stile.
Egregia l’esecuzione. Sonig Tchakerian ha fatto pienamente valere il proprio magistero tecnico ed esecutivo, reso qui ancora più coinvolgente dall’evidenza dell’istintiva adesione alla poetica del musicista ottantaseienne di Yerevan, al quale la accomunano anche le radici armene e non solo la raffinatezza della partecipazione stilistica. Quanto ai Solisti Aquilani, hanno realizzato un suono denso, dalle suggestive sottigliezze, impeccabilmente controllato nelle dinamiche e nel rapporto fra le sezioni, sempre delineato con musicalissima partecipazione rispetto alla lettura della solista.
La nitida eloquenza del suono proposto dalla formazione abruzzese era già emersa chiaramente nella manierata ma brillante St. Paul’s Suite di Gustav Holst, posta in apertura di serata: una pagina del secondo decennio del Novecento in cui il folclore inglese si riflette nel gusto per un discorso orchestrale vivace e non privo di morbidezze coloristiche. E si è affermata pienamente nella composizione che ha concluso il concerto, la Sinfonia da camera op. 110 A di Šostakovič, versione orchestrale del Quartetto per archi n. 8 del 1960, del quale ripercorre senza attenuazioni la forte tensione drammatica, che ne risulta anzi in certo modo “amplificata” con efficacia quasi teatrale.
Realizzata con il sostegno delle figlie Veronica e Dominique, la serata era dedicata al ricordo di Paolo e Florence Marzotto, indimenticati mecenati e sostenitori della grande musica non solo a Vicenza, e il teatro Olimpico era quasi al completo. Applausi cordialissimi, ma nessun bis.
Foto © Antonio Magazzino