Sulle orme di un evento da lui diretto nel 2017 al Barbican Center, dal quale derivò anche una premiatissima registrazione discografica nella quale brillava la qualità della London Symphony Orchestra, John Eliot Gardiner si è affidato a Shakespeare e a Mendelssohn per le prime apparizioni in Italia con la sua nuova creatura musicale, battezzata Constellation Choir & Orchestra. In prima italiana a Rimini, la sera dopo a Verona per il XXXIV Settembre dell’Accademia Filarmonica (festival al quale il direttore inglese ha fatto così la sua prima apparizione) il programma era dominato da una proposta che non sapremmo definire altrimenti che “contestualizzata” delle musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate. Un po’ a sorpresa – il programma di sala non offriva dettagli al proposito – l’esecuzione ha visto infatti co-protagonista una pattuglia discretamente numerosa di attori, che ha svolto il compito di “indicare”, con inserti recitati (ovviamente in inglese), a quale punto nella vicenda, peraltro com’è noto decisamente ingarbugliata, si inserissero le mirabili pagine strumentali dettate dal compositore di Amburgo, che aveva trovato patria artistica a Berlino e per la corte degli Hohenzollern andava confrontandosi durante quelli che sarebbero stati gli ultimi anni della sua vita, i Quaranta dell’Ottocento, con il grande teatro classico e appunto con il Bardo.
Sarebbe stato utile che i testi fossero a disposizione nel programma, ma un po’ alla volta il pubblico che affollava il Teatro Filarmonico (non necessariamente anglofono, ma ben disposto) ha comunque probabilmente identificato i personaggi della commedia, dal folletto Puck a Oberon e Titania, senza trascurare le due coppie di amanti ateniesi e il povero tessitore Bottom che si trova per effetto di incantesimo dotato di lunghe orecchie d’asino. E tuttavia, in settanta minuti di “rappresentazione” gli inserti parlati hanno fornito assai meno di un riassunto della vicenda, conseguenza del resto inevitabile del fatto che le musiche di Mendelssohn sono collegate a momenti precisi del plot e non ne forniscono certo la sintesi. Il Sogno raccontato a spizzichi, insomma, pur nella volontà “filologica” di collocare le musiche rispetto al testo shakespeariano, è finito per risultare anche musicalmente più frammentario di quanto non sia la partitura di Mendelssohn, che normalmente si ascolta senza o con solo pochi momenti recitati. Il che nulla toglie alla coinvolgente partecipazione dei cantori-attori, per la verità quasi esclusivamente recitanti (tranne il Lied con coro, anch’esso naturalmente in versione originale, nonostante Mendelssohn avesse lavorato sulla traduzione di Schlegel) con una freschezza e una partecipazione degne di essere collocate in uno spettacolo meglio congegnato. Di loro il programma di sala recava solo due nomi, Sam Cobb e Rebecca Hardwick; dispiace non poter citare gli altri.
La Constellation Orchestra è nata dopo le burrascose vicende del 2023 che hanno portato Gardiner a divorziare dalle formazioni che aveva fondato e diretto per decenni, vicende che hanno consigliato al direttore inglese un anno sabbatico. L’impostazione “storica” si coglie nell’adozione peraltro non uniforme di strumenti d’epoca: ottoni e fiati sono “antichi”, non così gli strumenti ad arco. Gardiner riesce comunque a rendere abbastanza omogeneo il suono, con il suo gesto eloquente, a volte magniloquente, ma comunque di raffinata profondità analitica, riflessa in un piglio esecutivo effettivamente di lucida forza comunicativa. L’esecuzione delle musiche di scena per il Sogno ha avuto momenti alti, di gran classe (lo Scherzo, l’Intermezzo, il Notturno) ed altri singolarmente bisognosi di maggiore equilibrio, di meglio definita qualità timbrica, a partire dall’ Ouverture scritta dal compositore a 17 anni, un miracolo di profonda leggerezza – se così si può dire – che è risultato singolarmente irrisolto sia sul piano del suono che del fraseggio.
Nella seconda parte della serata, le riserve – per quanto marginali – si sono rapidamente sciolte al calore di un’esecuzione esemplare della rara e magnifica Cantata profana Erste Walpurgisnacht op. 60, ugualmente di Mendelssohn. Come per effetto di una ben più partecipata adesione musicale e di contenuto (il testo su cui questo capolavoro misconosciuto si basa è una Ballata di Goethe non priva di ironia, comunque lontana dall’atmosfera del sabba faustiano) la Constellation Orchestra si è proposta con solidissima ed uniforme qualità di suono, sontuosa ricchezza timbrica in ogni sezione, gamma dinamica virtuosistica nel passaggio da sottigliezze quasi cameristiche a perorazioni di carattere sinfonico. Decisivo l’apporto del coro, abile nel mantenere l’equilibrio quando sono richieste sezioni separate, elegante nel colore vocale e stilisticamente inappuntabile, espressivamente molto duttile. Dalle sue file provenivano gli impeccabili interpreti delle parti solistiche in cui si articola questa partitura: il contralto Sarah Denbee, i tenori Graham Neal e Jonathan Hanley, i bassi Alex Ashworth e Peter Edge.
Alla fine, tripudio di applausi.
Foto © Studio Brenzoni – Accademia Filarmonica di Verona
