Opera

Cantato in italiano “Wozzeck” non è la stessa cosa

Alla Fenice il capolavoro di Alban Berg è stato proposto come nel lontano 1962, con il libretto nella traduzione di Alberto Mantelli. Si tratta della versione usata nel 1942, quando a Roma si ebbe la prima assoluta in Italia (direttore Tullio Serafin, protagonista Tito Gobbi). Il cambio di lingua, oltre a cancellare la fonetica dell'originale in tedesco, diluisce la dimensione tragica del testo di Georg Büchner, assorbita integralmente nella veste musicale che le attribuisce Berg, finendo per attenuare la potenza espressionista dell'opera. Regia sorvegliata e fin troppo elegante di Valentino Villa, direzione musicale attenta e incisiva di Markus Stenz. Nel cast, in evidenza Roberto de Candia nel ruolo del titolo e Lidia Fridman in quello della sua vittima, Maria

Per lungo tempo le opere in lingue diverse dall’italiano sono state tradotte, quando venivano rappresentate nel Belpaese. Del resto, lo stesso avveniva all’estero per le opere italiane. Da decenni, però, la tecnologia ha reso agevole avvicinarsi ai capolavori della drammaturgia musicale nella lingua originale. Ci sono sistemi sempre più sofisticati per offrire in tempo reale agli spettatori la lettura del testo cantato, tradotto nella loro lingua. E nessuno troverebbe normale – solo per fare un esempio – assistere a un Lohengrin in italiano, che fu l’esperienza compiuta da Verdi a Bologna nei primi anni Settanta dell’Ottocento e ha continuato a essere prassi comune fino alla metà del secolo scorso. La tendenza ha iniziato a cambiare fra gli Anni Sessanta e i Settanta, trovando peraltro un fiero oppositore in Fedele d’Amico, vivace sostenitore della traduzione come necessità “semantica” nella fruizione di un’opera in lingua straniera, che ha come obiettivo anche la comprensione di quel che i cantanti dicono. E lasciamo fra parentesi la considerazione che anche se cantano in italiano non sempre i cantanti si fanno capire dal pubblico di casa nostra; tanto è vero che oggi il pubblico si attende di “vedere” il testo anche se è in italiano…

D’Amico non era solo uno studioso dall’inconfondibile e accattivante brillantezza polemica. Era a quell’epoca uno dei più raffinati realizzatori di “versioni ritmiche” dell’opera novecentesca, si trattasse di adattare in italiano Il naso di Šostakovič (lo fece nel 1964) oppure Wozzeck di Alban Berg, come nel 1979 in occasione di un peraltro celebre allestimento al Maggio Musicale fiorentino, quello che segnò il debutto nella regia operistica di Liliana Cavani (sul podio c’era Bruno Bartoletti).

Anche lo spettacolo che chiude la stagione 2024-25 della Fenice è un Wozzeck cantato in italiano, ma la oggi insolita proposta non ha impiegato la sua versione, bensì quella per così dire “primigenia”, realizzata 83 anni fa da Alberto Mantelli, un apprezzato musicologo che nel 1950 avrebbe avuto un ruolo importante nella nascita del Terzo Programma radiofonico italiano. Era infatti sua la traduzione utilizzata per la storica prima italiana dell’opera, avvenuta nel novembre 1942 al Teatro Reale di Roma, ovvero il Costanzi, nell’ambito di una piccola rassegna di opere contemporanee che comprendeva anche La donna serpente di Casella e Volo di notte di Luigi Dallapiccola, autore non certo vicino al regime fascista, così come inviso al nazismo era Berg. L’evento fu contraddistinto da un alto tasso di “venetità”: sul podio salì l’allora sessantaquattrenne Tullio Serafin (al quale la partitura fu probabilmente passata da Goffredo Petrassi), veneziano di Cavarzere; nel ruolo principale cantò il baritono bassanese Tito Gobbi, che aveva 29 anni ed era agli inizi di una gloriosa carriera.

Wozzeck, del quale ricorre il centenario della prima rappresentazione (Berlino, 14 dicembre 1925) è presenza tutt’altro che frequente alla Fenice, dove è apparso tre volte nell’arco di 63 anni. Prima della produzione presentata in questi giorni, lo si era visto nel 1992, direttore Yoram David e regista Giorgio Marini. E quella volta è stata anche l’unica delle tre in cui sia stata proposta la versione originale in tedesco. L’unico altro precedente risale al 1962: dirigeva Ettore Gracis e la regia era di Giovanni Poli. Anche in quell’occasione, fu adottata l’allora corrente versione italiana di Mantelli, che a questo punto diventa “maggioritaria”, se così si può dire, nelle locandine veneziane.

L’ex sovrintendente Fortunato Ortombina (la stagione che si è conclusa con questo titolo reca la sua firma ed è stata costruita prima della sua partenza per la Scala) ha dunque compiuto una scelta singolarmente inattuale, contrassegnata da una “storicità” fine a sé stessa, che non rende un buon servizio al lavoro considerato fra i caposaldi del teatro musicale del ‘900. Proporre oggi Wozzeck in italiano significa infatti sacrificare alla (presunta) efficacia semantica di quanto viene pronunciato in scena tutto quanto riguarda la fonetica del testo originale, che “risuona” ovviamente molto diverso dalla pur impeccabile traduzione di Mantelli. E che fa parte a pieno titolo della dimensione musicale del lavoro.

Chi scrive non aveva mai ascoltato quest’opera in italiano: l’impressione è stata che il cambio di lingua abbia diluito la dimensione tragica del testo di Georg Büchner, assorbita integralmente nella veste musicale che le attribuisce Berg, finendo per attenuare la potenza espressionista di una drammaturgia che ha i suoi pilastri da un lato nella magistrale scrittura orchestrale (articolata in seducente differenziazione formale, tutta riferita alla tradizione classica) ma dall’altro nella parola detta, cantata, gridata in tedesco. Con il suo colore cupo e il suo suono aspro.

Lidia Fridman, Maria, nel secondo atto di “Wozzeck”

Consapevole della problematica interpretativa indotta dalla traduzione si dichiara nel programma di sala il regista Valentino Villa. Lo spettacolo da lui firmato è ben costruito, grazie anche alle funzionali scenografie di Massimo Cecchetto, ai costumi fin troppo eleganti di Elena Cicorella, alle luci taglienti e livide di Pasquale Mari, ma concede forse un po’ troppo a una dimensione vagamente favolistica, un po’ “ripulita” della sordida vicenda che si snoda sulla scena. Il discorso non riguarda tanto il dramma personale del protagonista, tutto sommato ben delineato, ma il contesto nel quale la sua atroce follia si dispiega. Il Capitano e il Dottore finiscono per sembrare figurine generiche e neanche troppo caricaturali, piuttosto che orribili esponenti di una società che devasta i deboli e gli oppressi. E anche le scene di massa risultano in certo modo “ripulite”, a prescindere dalla ben caratterizzata ambientazione nella Germania anni Venti, cioè all’epoca della composizione. Wozzeck è la storia di un femminicidio ma anche del devastante degrado della società in cui il delitto matura: lo spettacolo di Villa smussa un po’ gli angoli, pur trovando indubbi momenti di forte coinvolgimento, specie nel terzo atto.

Dal podio, Markus Stenz ha guidato un’esecuzione coloristicamente densa (non senza qualche imprecisione nell’orchestra della Fenice, specialmente lato ottoni, del resto sempre in prima linea), non sempre stringente nel fraseggio ma tagliente nelle dinamiche, dirompenti fino alla devastazione fonica che accompagna e segue il delitto. La compagnia di canto ha fatto il suo dovere. Wozzeck era Roberto De Candia, egregio nell’articolazione della linea di canto, scenicamente un po’ frenato. Al contrario una Maria di interessante disposizione recitativa è stata Lidia Fridman, vocalmente precisa ma più incline al lirismo che alla drammaticità. Leonardo Cortellazzi e Omar Montanari, rispettivamente il Capitano e il Dottore, si sono proposti con buona ma un po’ edulcorata consapevolezza stilistica, mentre il Tamburmaggiore di Enea Scala è risultato smargiasso come richiesto. L’ampio cast era completato da Paolo Antognetti (Andres), Rocco Cavalluzzi (primo garzone), William Corrò (secondo garzone), Marcello Nardis (lo sciocco) Manuela Custer (Margret) e Alessandro Vannucci (un soldato). A posto il coro istruito da Alfonso Caiani e i Piccoli Cantori Veneziani di Diana D’Alessio.

Saltata la prima per lo sciopero indetto dai dipendenti della Fenice nell’ambito della vertenza sulla nomina di Beatrice Venezi come direttrice musicale, queste note si riferiscono alla prova generale, alla fine della quale le accoglienze sono state di vivo apprezzamento.

Foto © Michele Crosera – Fondazione Teatro La Fenice

Roberto De Candia, Wozzeck, e Lidia Fridman, Maria
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