Fino a questo momento, la ricerca esecutiva del pianista canadese Jan Lisiecki – che ha trent’anni ma è in carriera più o meno da quando ne aveva la metà – ha con tutta evidenza il riferimento più significativo in Chopin. Lo dice il suo catalogo per primaria casa discografica (ha già inanellato l’integrale degli Studi, dei Notturni e dei Preludi, oltre ad avere registrato le opere per pianoforte e orchestra con esclusione dei Concerti) e lo confermano anche i programmi proposti a Vicenza per la Società del Quartetto, dov’è alla quarta presenza a partire dal 2013. Se si esclude infatti la serata della primavera 2018 in cui si era presentato con la Camerata Salzburg, ovviamente votata a Mozart (ma anche a Šostakovič), i suoi concerti hanno sempre seguito, per la verità in maniera fin troppo teleguidata dal marketing, i percorsi indicati dalla sua discografia. Nel 2013, quindi, era stata la volta degli Studi op. 10, ripresi anche nel maggio del 2022, in un notevole intreccio con l’integrale dei Notturni, mentre l’inaugurazione della presente stagione concertistica, avvenuta il 14 novembre al Teatro Comunale, è stata dedicata ai 24 Preludi op. 28.
Tuttavia, questi capolavori poetici ed essenziali, allo stesso tempo autentico “flusso di coscienza” musicale del loro autore, libero da ogni rigidità formale, e trionfo della tastiera come “estensione” del gesto creativo, non “fanno serata”, esattamente come non corrispondono alla durata di un Cd tradizionale. Ecco allora la necessità di costruire un “progetto” che metta d’accordo le diverse esigenze (chiedersi quale sia quella primaria è perfino superfluo…). Il giovane pianista ha quindi messo a fuoco – nel disco pubblicato a marzo e ora in concerto – quella che chiama una “spedizione musicale” nei domini del Preludio, che cronologicamente si allarga a circa due secoli solo per la presenza del vecchio Bach – che del genere s’intendeva parecchio e forse per questo non lo ha mai isolato da quel che riteneva dovesse venire “dopo” il “pre” – ma punta soprattutto sul secondo Ottocento e sul primo Novecento, con autori anche poco o per nulla conosciuti.
Affidata alla seconda parte del recital l’integrale chopiniana, la prima e più ampia parte della serata è consistita in un itinerario raffinato e un po’ concettoso, che per dare un senso di circolarità alla proposta ha preso le mosse dal Preludio chopiniano più celebre dell’op. 28 (il n. 15 in Re bemolle noto come “Gocce di pioggia”) e ha poi toccato Bach e Szymanowski, Rachmaninov, Górecki e Messiaen. Il noto (o notissimo, come nel caso dei due popolari pezzi del russo emigrato negli Stati Uniti) e il meno noto o quasi sconosciuto (ma Gorecki è risultato in effetti di estremo interesse, più del debussismo ancora manierato di Messiaen, in seguito gran maestro di molta della modernità novecentesca). Il tutto in un’esecuzione “filata”, con nessuna pausa fra gli autori, stilisticamente spesso divergente, ma anche in grado di sottolineare, nel pianismo di Lisiecki, riferimenti più o meno sotterranei ma comunque interessanti. È stato il caso, ad esempio, dei due brani del polacco Górecki, rapidissimi e ritmicamente molto sbalzati, dei quali il Preludio in Do minore di Bach dal primo libro del Clavicembalo ben temperato è sembrato un ideale antecedente, non fosse che per il tempo rapidissimo e notevolmente chiaroscurale scelto dall’interprete.
Proposta originale, insomma, di qualità musicale composita. Approdato ai Preludi per antonomasia (ma bisogna pure dire che in questa “spedizione” – ed è un peccato – Lisiecki non ha ritenuto di toccare l’isola Debussy, e neppure lo sperduto ma affascinante pianeta Šostakovič), il recital ha dato l’ennesima prova della qualità del lavoro interpretativo che il pianista canadese mostra chiaramente di avere impostato. L’appassionato non troverà nulla di scontato, nel suo approccio a Chopin: non ci sono concessioni alle tradizioni esecutive storiche, ma domina un pensiero originale, sicuramente ancora in divenire, ma ricco di soluzioni interessanti. I tempi sono in generale svelti, anche quelli pensierosi, perché uno dei cardini di questo pianismo è il rifiuto della retorica fine a sé stessa; le dinamiche sempre ben stagliate, talvolta a discapito di qualche maggiore eleganza di suono. Il tocco è comunque nitido, il fraseggio istintivamente sciolto, le melodie sono ben tornite ma senza estenuazioni sentimentali. Così suona Chopin nel XXI secolo, verrebbe da dire, nella lettura di un pianista millennial: una ri-scoperta per ottenere la quale si concede qualcosa alla precisione ma non all’interiorizzazione del pensiero musicale. Senza inseguire l’originalità a tutti i costi.
Pubblico folto, ma non da tutto esaurito. Accoglienze cordiali, inevitabilmente più calorose dalla fine che dopo la prima parte, non propriamente entusiastiche. Come bis, la Romanza op. 28 n. 2 di Schumann.
Foto © Francesco Dalla Pozza – Società del Quartetto di Vicenza
