Opera

L’immaginazione fatta spettacolo

La Biennale Musica si è inaugurata alla Fenice con un "omaggio" al Leone d'oro alla carriera, Giorgio Battistelli, del quale è stato proposto "Jules Verne", lavoro sperimentale che risale al 1987. La composizione è apparsa al tempo stesso legata all'epoca in cui nacque e in sintonia con il programma del festival veneziano, intitolato "Out of Stage". Molto efficaci gli interpreti, i percussionisti del Trio Ars Ludi, che sono stati insigniti del Leone d'argento della rassegna

Quando il teatro musicale era “off limits” per il noto anatema bouleziano, anche i tentativi di evitare forme e drammaturgie di tipo storico per la scena, esplorando strade volenterosamente sperimentali, avevano vita complicata. Il percorso della “riabilitazione”, dagli anni Sessanta in poi, è stato lungo e tortuoso, ma oggi si può ben dire che la parola odiata da Pierre Boulez, Opera, appartiene di nuovo e a buon diritto – con tutta la complessità che la caratterizza – alla musica del nostro tempo.

Una certificazione fra le più autorevoli arriva dalla Biennale di Venezia, la cui storia è anche lo specchio fedelmente problematico di questa radicale controversia estetica, e che quest’anno per molti aspetti mette un punto fermo alla questione attribuendo il Leone d’oro alla carriera a Giorgio Battistelli. Fedele alla sua missione, tuttavia – e con le premesse di cui sopra non è una contraddizione –, la rassegna diretta da Lucia Ronchetti chiarisce fin dal titolo, Out of Stage, che la sua “investigazione” sullo stato dell’odierna musica per la scena riguarda ancora e sempre la sperimentazione, che applicata al teatro può anche andare oltre, o fuori appunto, dalla scena stessa.

Per questo motivo, oltre che per la natura rievocativa anche se non semplicemente riassuntiva del premio, l’omaggio al Leone d’oro Battistelli consiste in un trittico formato da Jules Verne (1987) e composto anche da Orazi e Curiazi (1996) e da Experimentum Mundi (1981): tre titoli cioè che rientrano pienamente in una drammaturgia musicale sperimentale che il compositore di Albano Laziale ha coltivato proficuamente anche quando era ormai approdato all’idea di opera contemporanea che ne fa uno degli autori odierni più rappresentati.

Non avrebbe avuto senso, insomma, proporre il Battistelli di lavori come i recentissimi Julius Caesar o Le Baruffe (per citare solo i suoi due ultimi titoli, che hanno visto la luce nell’ultimo anno fra l’Opera di Roma e la Fenice). Mentre ha una logica ben precisa, in un festival che vuole mostrare quale sia lo stato della sperimentazione “out of stage” (s’incaricherà di farlo un programma veramente sterminato e denso di prime assolute), offrire dell’autore premiato non per una novità ma per la sua carriera, una sorta di breve “galleria” delle sue sperimentazioni. Ancorché ormai storicizzate, e dunque molto diverse – per l’orecchio dello spettatore contemporaneo – rispetto a quello che erano al momento della loro nascita.

Jules Verne, che ha inaugurato la Biennale Musica mercoledì alla Fenice, ha mostrato questa natura anfibia in maniera esemplare. Definito dal suo autore “Immaginazione in forma di spettacolo per trio di percussioni, tre voci, tromba e pianoforte”, lo spettacolo è risultato allo stesso tempo datato – intendendo il termine in senso neutro: frutto di un’epoca che non è quella corrente – e capace di mettere in moto una percezione della drammaturgia musicale del tutto attuale. Questa drammaturgia è composta in pari misura dai personaggi di Verne che percorrono la scena con i loro pensieri, i loro rimpianti, le loro immaginazioni, appunto, e dalla materialità del suono. Nel quale l’effetto di un imponente apparato di percussioni, per la maggior parte ad altezza indeterminata, è messo a confronto con la presenza “normalizzatrice” del pianoforte, di una marimba, di un sassofono (in questo allestimento a sostituire la tromba), della stessa voce umana in una gamma che va dal parlato puro e semplice fino ad allusioni melodiche più o meno evidenti. Accuratamente (programmaticamente?) evitando le derive d’avanguardia dello sprechgesang, che negli anni Ottanta del secolo scorso erano ancora ben presenti, anche se ormai agli ultimi fuochi.

Battistelli in questa occasione ha assunto in prima persona la regia, e questo ha fatto sì che gli elementi intorno a cui si dipana questa sorta di seduta psicanalitica per interposto compositore di tre famosi personaggi di Verne – ossessionati dagli elementi delle loro avventure: acqua, aria e terra – assumessero a loro volta una teatralità a volte pratica, a volte solo allusa. Nel bizzarro quanto evocativo “magazzino della fantasia” disegnato dallo scenografo Angelo Linzalata, il Capitano Nemo (Ventimila leghe sotto i mari) da un certo momento in poi sguazza nell’acqua e ci finisce dentro; il Dottor Ferguson di Cinque settimane in pallone manovra una mongolfiera del tutto ideale che in realtà è una damigiana sospesa a una carrucola; il Professor Lidenbrock di Viaggio al centro della Terra gestisce con pari abilità vele e mattoni. Le sorprese non mancano: due fragorosi colpi di cannone sorprendono il pubblico; e nel finale, Nemo si sovrappone alla figura del nipote psicotico dello scrittore, che tentò di assassinarlo, e spunta anche un revolver assai chiassoso.

Con l’apporto della sorvegliata regia del suono di Thierry Coduys, la realizzazione di questa “Immaginazione in forma di spettacolo” è stata affidata allo straordinario Trio Ars Ludi, che riceverà durante questa Biennale il Leone d’argento. Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi e Gianluca Ruggeri non solo hanno maneggiato da par loro le percussioni di cui sono riconosciuti virtuosi, ma sono stati abili, più che nelle sottolineature vocali, nel dare gesto ai pensieri e ai suoni, con un’immedesimazione di per sé di teatrale evidenza.

La Fenice era gremita, le accoglienze sono state entusiastiche.

Foto © La Biennale di Venezia /Andrea Avezzù

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