Concerti

Schumann e Mendelssohn, le vie del Romanticismo

Alexander Lonquich direttore e solista nella serata inaugurale della stagione dell'Orchestra del Teatro Olimpico al Comunale di Vicenza. Nel programma gli Intermezzi schumanniani per pianoforte solo, di rara esecuzione, affiancati alla popolare Sinfonia Renana (n. 3 di catalogo, ultima a essere composta) e al brillante Concerto per pianoforte mendelssohniano. Esecuzione trascinante e brillante dell'orchestra, meditabonda e fortemente chiaroscurale da parte del solista

Dallo Schumann forse più trascurato, quello dei giovanili Intermezzi per pianoforte op. 4 a uno dei più noti e amati, quello della sua ultima Sinfonia in ordine di tempo, la cosiddetta Renana op. 97 (1850), pubblicata come terza nel suo catalogo. Nel mezzo, un brillante esempio nel nome di Mendelssohn di come il genere del Concerto per pianoforte cercasse la sua strada nella Germania della prima metà dell’Ottocento, archiviata con reverenza l’esperienza beethoveniana e nel tentativo di superare il virtuosismo fine a sé stesso del cosiddetto “stile Biedermeier”.

Il programma dell’inaugurazione di stagione dell’Orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza aveva almeno un motivo di originalità – gli Intermezzi, appunto, che sono una rarità nelle locandine pianistiche – insieme all’interesse suscitato dalla scelta di pagine molto celebri del repertorio sinfonico. E originale in qualche maniera era anche il format della serata, che ha visto il direttore musicale della OTO, Alexander Lonquich, iniziare come se il concerto fosse un recital, in perfetta solitudine alla tastiera, per poi proseguire nel doppo ruolo di direttore e solista in Mendelssohn e concludere – riportato il pianoforte fra le quinte del Teatro Comunale di Vicenza – come protagonista sul podio per la Renana.

Gli Intermezzi sono in effetti una raccolta sorprendente: il gusto schumanniano per i piccoli pezzi non rinuncia qui a una certa regolarità formale, nella tripartizione di ogni brano, ma viene per molti aspetti esaltato dalla ricchezza e dalla varietà ritmica. Due aspetti sui quali Lonquich ha centrato la sua interpretazione molto personale e accattivante, fitta di accentuazioni, di contrasti dinamici molto netti, di una brillantezza ruvida, se così si può definire, che lascia trasparire un’originalità di linguaggio che poi nella maggior parte dei casi avrebbe preso altre strade, segnatamente quella della seduzione melodica. Non è che le belle frasi manchino agli Intermezzi, ma giustamente Lonquich le ha fatte apparire come conquiste temporanee, in certo modo fugaci, preferendo puntare su un fraseggio chiaroscurale, incline a forti, qualche volta perfino ruvide sottolineature nel tocco, a delineare un’interpretazione di forte soggettività. Utile per mettere in evidenza come questi brani rappresentino nel catalogo schumanniano una sorta di “unicum” giovanile, del quale si può perfino rimpiangere che non ci siano stati seguiti sulla stessa lunghezza d’onda creativa.

Subito dopo, il brillantissimo Concerto in Sol minore op. 25 di Felix Mendelssohn – composto nello stesso periodo degli Intermezzi, intorno al 1830 – ha consentito di verificare che l’orchestra giovanile vicentina ha iniziato la stagione come aveva finito quella precedente, all’insegna di un fervido equilibrio, di una cospicua brillantezza strumentale e soprattutto di una notevole duttilità e precisione rispetto all’intenzione interpretativa di Lonquich, sempre ricca di sfumature. In questo caso, la scelta è stata quella di tempi molto veloci nei due movimenti estremi, allo scopo di esaltare la vertiginosa e virtuosistica scrittura pianistica, che l’agilità e precisione dello stesso Lonquich hanno di fatto esaltato come elemento centrale della composizione, della quale la ricchezza timbrica ben delineata dalla OTO è risultata un altro elemento fondamentale. Concerto Biedermeier in purezza, verrebbe da dire, per il tasso di acrobazie necessario al solista non meno che all’orchestra, ma arricchito dalla geniale ricchezza inventiva di Mendelssohn e dalla sua consapevolezza stilistica di superba eleganza classicistica.

Tutt’altro clima per la Renana: la bacchetta di Lonquich (non ricordiamo di avergliela vista impugnare spesso, in passato) ha delineato di questa magnifica Sinfonia una lettura cordiale e profonda, ben meditata, capace di sottolineare i richiami alla lezione beethoveniana di questa pagina come pure la ricchezza di valori espressivi all’interno della sua articolata struttura formale, ritmicamente multiforme e suggestiva. Coinvolgente il calore, fascinoso il colore, con tutte le sezioni della OTO impeccabili nel dare vita a un affresco sonoro di convincente meditata ricchezza. L’ampia sezione di ottoni (trombe e tromboni oltre ai quattro corni) ha dato un apporto decisivo non soltanto al severo e profondo Corale che innerva il quarto dei cinque movimenti in cui si articola la partitura (Feierlich, Solenne); tutti i legni hanno contributo in maniera nitidamente poetica; gli archi si sono proposti sempre con equilibrio e ricchezza di sfumature, densi di un suono molto comunicativo.

Pubblico lontano dal riempire la peraltro vasta sala del Comunale vicentino, ma prodigo di applausi e chiamate alla fine. Come bis, Lonquich ha riproposto la tenera poesia danzante dello Scherzo della Renana, che in realtà è un movimento lento (Sehr mässig, Molto moderato). Dopo la prima parte, da solo alla tastiera, il pianista di Treviri aveva regalato una poetica Novelletta di Schumann.

Foto © Colorfoto Vicenza – Orchestra del Teatro Olimpico

Alexander Lonquich durante l’esecuzione degli Intermezzi op. 4 di Schumann
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