La vittoria tedesca nel concorso di idee per la copertura dell’Arena di Verona ha un evidente portata simbolica. Vero è che gli studi SBP e GMP sono potenze globali della progettazione ingegneristica e architettonica, con sedi ai quattro angoli della Terra, da New York a Pechino, da Shanghai a San Paolo del Brasile, da Mosca a Doha. Ma si tratta di firme nate e radicate a Stoccarda, Amburgo, Berlino. Progettisti di scuola tedesca, come tedeschi sono le decine di migliaia di appassionati (la maggioranza dei non italiani) che da decenni ogni estate raggiungono l’anfiteatro romano di Verona per assistere agli spettacoli lirici.
Per questo la volontà di partecipare al concorso sembra quasi un segno di doverosa reciprocità, un attestato di impegno nei confronti di un’icona universale dell’antichità classica che ha avuto la ventura di diventare, nell’ultimo secolo, anche un emblema della formidabile tradizione italiana dell’opera. Tanto più apprezzabile, questa volontà, in un momento nel quale la generale crisi della lirica in Italia è particolarmente virulenta in riva all’Adige, fino a far temere per la stessa sopravvivenza della Fondazione che finora l’ha gestita.
Hanno vinto i tedeschi, architetti e ingegneri che sono di casa in Arena e la conoscono come le loro tasche. Nel pensare a come si potrebbe coprirla, hanno puntato sull’essenzialità, sulla “leggerezza” (sempre in termini relativi) dell’impatto sul monumento, ed è probabilmente questo che ha garantito loro la vittoria, anche se il punteggio ottenuto (80) si è fermato lontano dal massimo che la giuria poteva attribuire (100). Un segnale chiaro che alcune criticità rimangono, che non tutto è sembrato così ovvio, chiaro e consequenziale. I progettisti si sono richiamati alle testimonianze arrivate dall’antichità, nelle quali si parla di velari destinati a proteggere dal sole almeno parte del pubblico degli anfiteatri.
Qui non è questione di sole. Al contrario, di pioggia. Per questo la copertura è totale, come richiedeva il bando. A giudicare dai “rendering”, la copertura di 12 mila metri quadrati risulta sollevata dalla sommità (il colmo dell’ultimo gradone) grazie a strutture metalliche di sostegno, corti pali da inserire, anzi da saldare sulle antiche pietre, sui quali verrà appoggiato il gigantesco anello che dovrà avere anche funzione di “deposito” del velario quando rimane inutilizzato, facendolo sparire completamente dalla vista. Secondo questa ideazione, spariranno anche tutti i cavi, lasciando il cielo sopra l’Arena completamente sgombro quando il velario verrà chiuso. Da quel che si è capito, è questa una prerogativa unica del progetto tedesco rispetto a tutti gli altri.
Tecnica e creatività a braccetto, modernità che sposa l’antichità e la preserva. Una realizzazione di risonanza mondiale, la nascita di un “nuovo monumento”. Un fiore all’occhiello foriero di un formidabile ritorno d’immagine per Verona come per l’imprenditore che tutto si è detto a disposto a finanziare (13,5 milioni, almeno in partenza), il patron di Calzedonia, Sandro Veronesi.
Ma sarà davvero così? E prima di tutto: è così necessario coprire l’Arena?
Al Politecnico di Milano, dove sono stati presentati i progetti vincitori, il sindaco Flavio Tosi ha messo a fuoco una strategia un po’ differente da quella con cui aveva iniziato la partita sulla copertura, quando era sembrato che la sua iniziativa fosse un diversivo nel pieno della crisi della Fondazione Arena. Ha detto che se ci sarà il via libera del ministero dei Beni Culturali, indispensabile, la realizzazione potrà avvenire nel giro di tre anni; ma ha sottolineato che la vera priorità non è quella di coprire gli spettacoli lirici estivi per realizzarli con qualsiasi tempo, ma di sottrarre l’Arena ai danni della pioggia, che in tutte le stagioni sono ingenti e costano moltissimo di manutenzione.
La distinzione segnala una prudenza insolita, sicuramente opportuna. La partita si gioca infatti su più tavoli, e quello degli spettacoli sotto il velario è il più insidioso. Tosi preferisce sottolineare che un dispositivo antipioggia dovrà soprattutto fermare lo sgretolamento dell’Arena, sperando che questa posizione possa rendere meno agguerrito il fronte dei contrari. Il confronto è solo all’inizio ma è già evidente che anche fra storici e archeologi, architetti e critici d’arte le posizioni sono molto differenziate. Se c’è chi parla di inutile e dannosa violazione dello statuto monumentale dell’anfiteatro, c’è anche chi si dimostra incuriosito e possibilista, evitando di stracciarsi le vesti.
La questione è comunque profondamente divisiva anche se si considera l’Arena “solo” un monumento. Il fatto che sia però anche un teatro, il più grande all’aperto del mondo, complica tremendamente le cose. Bisognerà attendere il dettaglio tecnico del progetto per capire meglio quali siano le soluzioni delineate, ma in linea generale appare veramente una sfida improba quella di garantire le condizioni acustiche minime non solo e non tanto per il suono in astratto (che potrebbe anche trarre dalla copertura un effetto positivo) quanto proprio per il rumore di fondo provocato da un acquazzone sul velario rispetto al suono dell’orchestra e alla voce dei cantati. Per non parlare delle condizioni ambientali complessive, dell’umidità (che interferisce fortemente con l’efficienza degli strumenti), della temperatura sotto la tenda, della possibilità di un “effetto serra” e così via. E guardando i “rendering”, qualche interrogativo sorge anche sulla fungibilità della struttura di copertura (l’anello) con le esigenza dei montaggi scenografici, per i quali si lavora con le gru dall’esterno dell’Arena. Problemi cruciali. I prossimi mesi diranno quali sono le risposte dei progettisti. C’è da sperare che chi deve decidere fra il sì e il no, ai Beni Culturali, le esamini per bene.